USQUE AD CŒLUM

QUEI MONACI DI PIETRA STRETTI ATTORNO AL
DOCTOR GRATIAE FINO ALLA FINE DEI TEMPI


13 Ottobre 2017, San Benedetto Martire
I

l tempo per gli occhi di abituarsi alla penombra dell'interno dell'edificio e l'arca di marmo bianco che da sette secoli custodisce le spoglie mortali di sant'Agostino si mostra ieratica nel suo luminoso candore, appena varcato il portone della basilica di San Pietro in Ciel d'Oro a Pavia. Tutto di quest'arca è pensato per essere osservato nel dettaglio tanto da lontano, dal fondo della basilica, che da vicino. E da entrambe le distanze provoca lo stesso senso di vertigine, che paralizza.


Arca di Sant'Agostino, Basilica di San
Pietro in Ciel d'Oro, Pavia
Percorrendo la navata centrale verso l'abside, la trama possente della costruzione marmorea si rivela passo dopo passo più leggera, ingentilita dagli intagli di uomini, angeli, piante, edifici, fregi – ogni spiraglio di quest'arca trabocca di figure – che si succedono dalla corona di tre cuspidi che puntano dritte verso il coelo aureo, al basamento in cui è incassata l'urna d'argento destinata a custodire il tesoro prezioso del corpo del santo vescovo d'Ippona fino al giorno in cui «sarà rivestito d’incorruzione ed immortalità, come accadrà nella risurrezione finale, quando la morte verrà assorbita nella vittoria» (De op. mon. 32, 40).


Nei bassorilievi della fascia inferiore, riparata sotto archi traforati come pizzi, è radunata la schiera silenziosa dei santi apostoli, chiamati a raccolta per testimoniare con la loro presenza muta le virtù del santo, mentre poco sopra scorre di formella in formella la narrazione della vita e della morte dell'Ipponate.


In una di queste il Doctor Gratie è immortalato nell'atto di ammaestrare i suoi monaci. In otto sono stretti attorno a lui, i loro volti coronati dalla chierica sono rivolti al santo retore, le loro spalle al mondo. È come se uno dopo l'altro, lentamente e in completo silenzio, quei monaci si fossero raccolti lì dagli estremi margini della Terra, da ogni lembo dei secoli, convocati ad Agostino dalla Grazia per compiere insieme il pellegrinaggio verso la Gerusalemme celeste, incuranti del mondo che tutt'attorno prosegue inesorabile, trascinato dalla libido dominandi, nel suo corso mercuriale fatto di imperi che rovinano all'improvviso, continenti che si rovesciano l'uno sull'altro nella mischia incessante delle epoche e Cesari che si succedono insaziabili fino al Corso, che dell'Europa fece un unico campo di battaglia e di questa basilica una stalla per i cavalli della Grande Armée lanciata all'assalto del mondo.


È come se di questo e di tutto il resto – solo riflessi della guerra incessante tra la civitas Dei e la civitas hominis che si snoda di battaglia in battaglia nel cuore di ogni uomo –, quei monaci stretti attorno ad Agostino nulla volessero sapere, completamente immersi nelle sue parole («la somma di tutte le parole è: Lui è tutto» De Trin. 15, 28, 51), unicamente assorti nel compito di farsi guidare da esse fino alla consumazione dei secoli verso l'alto, verso quell'estasi indicibile, quell'abbraccio dell'Assoluto destinato a durare non un istante, come accadde al Santo e a sua madre Monica sulla spiaggia di Ostia, ma tutta l'eternità.

M.R.